mercoledì 25 giugno 2014

Alcune sfide


Vediamo alcune delle sfide legate alla nostra cultura. Spesso si pensa che essere cristiani sia essere necessariamente meno intelligenti di altri. Ma non è lì che si misura l’intelligenza! Certo, i cristiani devono mostrare che c’è una plausibilità anche della loro vita anche in questo tempo. 1) “il disincanto del mondo”:
c’è stato un tempo che era un tempo incantato - dicono i sociologi, i filosofi - in cui si aveva la sensazione che tutto quello che capitava nel mondo avesse a che fare in un modo immediato, chiaro, con forze trascendenti questo mondo, sia di bene e sia di male. Capita una cosa bella? Vuol dire che la divinità è intervenuta e l’ha permessa;  ma se capita un terremoto devo capire quale demone ha permesso che avvenisse il terremoto. Il mondo incantato vede senza soluzione di continuità il passaggio tra questa vita che noi viviamo e l’esperienza che facciamo e l’ulteriorità. Oggi per mille motivi, non ultimo la ricerca scientifica, non viviamo più in un mondo incantato, neppure quelli che sono credenti. Se mi capita esempio una malattia posso fare una preghiera, ma devo fare esami, andare da uno specialista, pure pensando che Dio abbia a che fare con la totalità della realtà. In un mondo incantato si sarebbe soltanto accesa una candela … oggi non ragioniamo più così da cristiani, perché riteniamo che appunto il mondo non è incantato. È possibile essere cristiani e affidarsi completamente a Dio in un mondo di questo tipo?   Oggi “la fede è una scelta possibile, ma non unica”!  C’è stato un tempo in cui la fede, e la fede cristiana qui in occidente, era l’unica possibilità di interpretare la realtà.  Tutti coloro che negli anni ’60 dicevano che con l’avanzare della modernità si sarebbe estinta la religione sono stati smentiti. Tuttavia oggi quella della fede è una possibilità che sta davanti alla possibilità uguale e contraria della “non–fede” della “non-credenza”. Chi è credente sa benissimo che nella sua stessa famiglia ci può essere qualcuno che non è credente e che non per questo non ha delle preoccupazioni etiche. Esistono anche dei non credenti che non solo non sono cattive persone, ma possono avere delle preoccupazioni etiche, una ricerca di bontà, almeno altrettanto seria di chi si dice cristiano.  Questo significa io credente so di dovermi continuamente confrontare con la possibilità uguale e contraria della non credenza,  e tu non credente sai di poterti e doverti confrontare con la possibilità uguale e contraria della fede e della credenza, ma ci sentiamo tutti liberi di credere e di non credere. Altro elemento di questa cultura: “la società complessa”. Nel passato la dimensione religiosa strutturava la società in quanto tale. In qualche paese di campagna, ancora adesso, per esempio nel mese di agosto in genere ci sono tantissime feste con devozioni a diversi santi.  In un’epoca in cui la società era strutturata attorno alla religione e nella fattispecie alla fede cristiana, in cui si lavorava moltissimo, come era il tempo estivo nelle campagne, era l’unica opportunità che si dava a della gente anche di interrompere e di fare festa: la religione strutturava la realtà sociale. Oggi non è che non si sia più spazio per la religione, ma c’è l’autonomia di diverse sfere. La politica si sente autonoma, l’economia si sente autonoma, la scienza si sente autonoma. «E’ il processo di secolarizzazione»; la religione non può più pretendere di unificare il tutto. Con dei pericoli, che qualche elemento che ha preso autonomia diventi inglobante tutti gli altri. L’economia in questi ultimi anni è diventata “una religione”!Noi ragioniamo oramai sulla base “dell’utile” o del “non-utile”. Non è che tutto è bello o va necessariamente per il bene. Ma dobbiamo riconoscere che se qualcuno vuol essere credente deve farlo in un mondo di questo tipo. L’ultimo elemento che metterei in evidenza è una “cultura democratica”. Noi siamo abituati a vivere, credenti o non credenti, in un mondo segnato dalla democrazia, da una società in cui diamo per scontato che il potere non viene da  fuori di noi, ma viene da noi. Una società non democratica spesso era una società in cui si poteva avere l’idea e la prospettiva che chi deteneva il potere lo deteneva addirittura in nome di Dio; oggi tutti respiriamo in un mondo secolarizzato che si rivela anche in questo aspetto, nella democrazia e nel fatto di dire: «Chi ha il potere ce l’ha perché gli deriva da altri uomini», perché sono gli uomini e non altro a decidere come organizzare la loro vita sociale.   Come ripensare la vita cristiana dentro questo mondo qui, in modo che possa essere plausibile, veritiera, sensata, anzitutto per chi è cristiano e possibilmente possa rappresentare una domanda, anche per chi cristiano non è, rompendo quella logica che spesso attraversa i nostri modi di parlare secondo cui chi è credente non  pensa e chi pensa non è necessariamente credente? Una vita cristiana può essere vissuta oggi in tutta la pienezza soltanto se accetta di essere una vita pienamente responsabile, ma che nello stesso tempo sia abbandonata totalmente nella mani di Dio.  Forse è così anche proprio perché Dio vuole, che gli uomini, che non sono dei fantocci, ma creature ad immagine di Dio, riescano a esprimere tutte quelle potenzialità che sono in loro potere e si prendano la responsabilità di tutto quello che è in loro potere e che non c’è niente di male ad essere cristiani, credenti, e a vivere così. Si può essere credenti sapendo che si ha un’intelligenza, un cuore, una fantasia, una creatività, per cercare, da credenti, tutte quelle soluzioni ai problemi miei, del mio fratello, dell’altro e del mondo intero che sono nella nostra possibilità di creare e di trovare. Perché forse proprio questo tempo del disincanto del mondo ci manifesta ancor di più che il Dio di Gesù  non è il grande burattinaio della storia, ma è Colui che ci ha voluti come persone capaci di assumerci delle responsabilità; quando c’è una malattia, un cataclisma, una povertà, è il segno che Dio non lo possiamo mettere in ballo come se fosse una cosa tra le altre: Dio è trascendente! E proprio per questo però questa responsabilità si deve accompagnare con l’abbandononelle Tue mani alla fine consegno il mio spirito”. La vita cristiana può essere una vita veramente sensata nella misura in cui si sente interpellata a mettere a tema una dimensione profonda della fede che è la libertà! Se è vero che oggi si può essere credenti ma si può anche non essere credenti, questa stagione è la più adatta per riscoprire da cristiani che la fede è quell’atto di riconoscimento, di riconoscenza, è autenticamente cristiana quando è libera. Ci sono delle belle possibilità oggi. C’è stato un mondo in cui era normale essere credenti, ma ci si sentiva quasi anche obbligati a essere credenti o, si era credenti perché il fiume della tradizione ci portava lì mettendo tra parentesi un aspetto fondamentale della fede e cioè che io sono libero di aderire a Dio. Questo è un tempo in cui riscopriamo che è possibile essere credenti mentre è possibile non essere credenti: forse è proprio quel tempo adatto (“Kairos”) per riscoprire che la fede è vera quando è libera.  In un tempo così, in cui si può essere credenti e non credenti e ugualmente interessati ai valori etici non sarà questo un tempo fondamentale per riscoprire che un cristiano è tenuto a mostrare con la sua vita che quella fede è una fede che lo umanizza, che lo rende più buono. Al credente è richiesta una carica profetica. Ciò che colpisce è che tra i cristiani di oggi ci sono persone che sono diventate competentissime in alcune scienze di questo mondo, diventando veramente anche delle personalità, e che continuano  però ad avere una fede a livello dei bambini delle scuole elementari, perché non l’hanno più fatta crescere. Ed a un certo punto le due cose vanno in rotta di collisione necessariamente perché non si può essere iper-adulti in una qualche scienza in cui ci si è giustamente fatti una grandissima competenza e rimanere oggi dei bambini nelle cose della fede       “La fede se non è pensata - diceva Agostino -  non è”! Questo è ciò che un cristiano deve fare per sé ed è poi qualche cosa che ha da fare per altri nel momento in cui ha la pretesa, vorrei dire legittima, di essere un cittadino di questo mondo e di portare la sua visione del mondo come un’offerta perché possa essere sensata e vivibile anche per altri.   Risposta:   c’è nella Chiesa il pericolo di idolatria non tanto per i santi, ma per altre cose! Per esempio il potere riguarda anche gli uomini di fede, le donne di fede.  Il successo, la visibilità riguarda anche le donne e gli uomini di fede.  Ma questo per un credente si chiama “peccato”, aver messo al posto di Dio qualcosa che Dio non è. Risposta: Dio è onnipotente? Certamente Dio non è segnato dai limiti a cui siamo segnati noi; una certa tradizione può aver rischiato di pensare l’onnipotenza nel senso di attribuire a Dio la potenza che noi pensiamo a livello umano nella maniera somma. Dio è onnipotente in quanto Dio! E dov’è che si dimostra massimamente questa onnipotenza? Se c’è un luogo nella storia in cui massimamente si dimostra questa onnipotenza è precisamente la risurrezione di Gesù, per il cristiano. Questa onnipotenza è strettamente congiunta al dare la vita! Quando noi pensiamo all’onnipotenza bisogna pensare all’onnipotenza di Dio, il quale si è rivelato come il Padre di Gesù Cristo, come colui che non è nient’altro che Padre di Gesù Cristo. E questa onnipotenza noi la dobbiamo predicare di “Dio che è Padre, che dona vita”. Per questo vi dicevo rimane la domanda del male al cospetto di Dio perché certamente dobbiamo pensare da cristiani, per chi è cristiano, che non è da Dio che viene il male. Che non è da Dio che viene il male! Anche se siamo fortemente sempre tentati di pensare anche nel linguaggio comune: «Mi è capitato questo perché Dio.. » Sul libero arbitrio certo che esiste; pensando allo stesso tempo che la libertà di decidere sì o no , una cosa o l’altra, è un aspetto di una dimensione più grande della libertà umana che è la possibilità di realizzare se stessi, e questa possibilità non può avvenire in un modo o nell’altro indistintamente: non penso che ci realizziamo facendo il male. La libertà più piena la ritroviamo precisamente quando aderiamo al bene. Risposta: io penso che tutti gli studi in questo senso siano importanti; ma vedete, studi sociologici, psicologici, e via di seguito ci aiutano a vedere che cosa?  Per esempio che il nostro libero arbitrio, la nostra libertà è sempre “situata” e dunque concretamente situata vuol dire che non esiste allo stato puro; esiste in  quanto “tu sei tu”, figlio di quel padre, di quella madre, con quella cultura, con quelle esperienze che hai fatto, con quella storia che hai avuto. Dunque probabilmente tra un assassino vissuto costantemente in un posto in cui ha visto soltanto ammazzare gente e un assassino che invece è cresciuto in una famiglia in cui ha ricevuto tutto, magari dal punto di vista della responsabilità personale se andiamo poi a verificare caso per caso ci possono essere delle differenze. Finché il male però ha un po’ di libertà c’è della responsabilità. Le attenuanti anche il diritto in qualche modo le ha.  Perché se ho preso sempre schiaffi e questo è l’unico linguaggio che io ho imparato fin da piccolo, poi dopo se li do non è che posso dire: «Non  ero libero!», magari un margine di libertà ce l’avevo; ma probabilmente era minore di un altro che è stato amato e che poi dopo però si trova a fare lo stesso gesto. Risposta:  dobbiamo respingere l’idea che esistano due principi,senza dubbio! Ma nel cristianesimo Dio è uno! Però non è che questo significa che non esiste “male”. Però bisognerebbe riuscire a distinguere: ci sono tanti tipi di male: quello prodotto dall’uomo … Però la nostra vita ci dice che esiste qualche cosa che non funziona, che  è disumanizzante e il fatto di sapere che Dio è buono rende ancora più inquietante ciò che sperimentiamo. Non solo, ma la nostra vita ci dice che noi stessi pur essendo attratti da Dio possiamo sperimentare quello che dice Paolo: “Io non faccio il bene che voglio e mi trovo a fare il male che non voglio”, cioè la nostra vita ci dice che pur essendo attratti da Dio ci ritroviamo però invischiati in dinamiche di male. Il segno che non vogliamo essere manicheismi è il fatto che noi diciamo: «Questo non ha a che fare con ciò che è umano». Per questo dicevo che la libertà nel senso più ampio non è l’indifferenza nel bene e nel male, ma la mia libertà si realizza nel senso più pieno quando io nel bene mi umanizzo: lì sono veramente libero. Perché non sono due cose indifferenti. Risposta:  in massimo grado… diciamo che è un cristiano! Lo dice molto spesso e secondo me fa bene a dirlo. È uno che ha una responsabilità, importante, fondamentale nella Chiesa, ma poi dopo la fede la giudica Dio soltanto. Ci sono stati dei Papi che hanno avuto molta meno fede di altri cristiani che nell’epoca erano magari grandi santi. E dico questo perché mi sembra che lui sia molto cosciente di questo. Leggendo questi brani del Vangelo non possiamo pensare alle cose in un modo “magico”, ma dobbiamo pensare che questa fede non ci toglie la responsabilità anzitutto di fare ciò che dobbiamo fare noi. Per esempio nelle guerre il Papa interviene; per esempio è intervenuto in maniera molto rigorosa e molto cristiana quando detto: «Attenzione che quando ci sono questi qua, noi speculiamo sulla morte», ma  richiamando che cosa? Precisamente ciò che dicevo io: la responsabilità che abbiamo! Perché la fede oggi in un mondo così la possiamo riscoprire ancora meglio, non è qualcosa che ci toglie la responsabilità di fare ciò che possiamo fare! Noi combiniamo i pasticci, poi diciamo: «Tanto c’è Dio », non è così che funziona!. Nello stesso tempo la fede, come dire, è quell’abbandono che ci fa dire in termini ultimi: «Io so che Dio porterà alla salvezza il mondo»!

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