lunedì 24 settembre 2018


Il tema della psicologia del vissuto religioso è molto ampio. Riguarda tutta la gestione che facciamo del rapporto con Dio. 
Il mezzo che noi usiamo per rapportarci con Dio è la nostra psiche, e questo influenza il nostro rapporto.
Se io ho un rapporto con una persona solo attraverso internet, solo con una chat, il telefono, per lettera, il mezzo che utilizzo per relazionarmi con quella persona influenza il rapporto con quella persona.

Noi ci rapportiamo con Dio attraverso la nostra psiche. I funzionamenti e le caratteristiche della nostra psiche influenzano il rapporto con Dio e gli danno determinate caratteristiche, alcune comuni a tutti gli uomini, altre proprie di una singola persona che ha una psiche con la sua caratteristica e la gestisce in un certo modo. La nostra psiche è composta da diversi elementi: l’intelligenza, con sette, otto, nove (seconda degli autori) capacità diverse che chiamiamo genericamente intelligenza; la sensibilità, anche qui con caratteristiche diverse, ad esempio l’emotività e altro. Poi c’è la volontà, che racchiude diversi tipi di volontà. Ognuno di noi ha una certa quantità di ognuno di questi elementi, poi occorre considerare la gestione che si fa di questi elementi, il che ci rende diversi. Dunque noi abbiamo un modo di rapportarci con Dio condizionato dalle nostre caratteristiche psichiche. Come la nostra psiche condiziona il rapporto con Dio? Innanzitutto c’è il concetto di Dio per cui Dio è in alto, su nel cielo. Questa visione di Dio “in alto” è comune a tutte le culture. Pensate all’Olimpo per i greci, alle montagne sacre di ogni religione, su in alto. Perché le espressioni: “Dio in alto nei cieli”, “gloria a Dio nell’alto dei cieli”, cos’è questo cielo dove c’è Dio? Perché Dio deve abitare in cielo e non sulla Terra che sarebbe molto più logico e naturale? Questa nostra idea di Dio che è in cielo, viene dalla nostra esperienza concreta della gravità terrestre, del peso delle cose, che tradotto in termini molto concreti dice che chi sta sopra ha un vantaggio rispetto a chi sta sotto. Quando due fanno la lotta, chi sta sopra è avvantaggiato rispetto a chi sta sotto. Oppure quando si doveva assalire una città, con un castello circondato da mura, chi era dentro, sopra le mura, era avvantaggiato rispetto a chi era sotto. Dunque chi sta in alto ha dei vantaggi rispetto a chi sta sotto, e questo vale in tutti i campi. Quando si parla di gerarchia, si dice: «Quella è una persona in alto», cosa vuol dire ‘in alto’? Cammina sullo stesso pavimento su cui camminiamo noi, ma risponde a questo! Le alte gerarchie, gli alti comandi, c’è sempre questa idea dell’alto; una volta la esprimevano anche proprio materialmente: il re aveva un gradino sotto il trono, era più in alto, per far vedere questa superiorità stava in alto.
Proiettiamo questo su Dio, e se un re è in alto di un metro, Dio quanto è in alto? Va a finire su che più in alto non si può. Ma naturalmente questo non vuol dire che Dio è tra la Terra e la Luna, o più in alto ancora, ma esprime solo questa nostra idea che viene dalla nostra psiche di attribuire importanza a chi sta sopra, in alto, allora 
diciamo che Dio è in alto. C’è poi questa immagine che per i cristiani è Dio Padre, che corrisponde al Dio delle altre religioni; il Dio dei mussulmani, Allah, corrisponde a Dio Padre; il Dio dell’Antico Testamento corrisponde a Dio Padre.
(Vai al succcessivo. Testo tratto da una relazione del prof. E. Risatti tenuta presso il centro Chicercatrova di Torino).

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